martedì 6 gennaio 2009

Un po' di STORIA 3 - Willie Henry Foulke



Più uno ingrassa, più diventa saggio. Pancia e saggezza crescono insieme.
Aforisma di Charles Dickens

Nel 1848 il Trinity College di Cambridge ospita un singolare raduno di studenti. Si riuniscono i rappresentanti dei principali istituti inglesi. Animati dall'idea di stilare le regole del gioco del football. Il calcio, sport universalmente conosciuto e praticato, nasce nel corso di questa chiassosa assemblea studentesca. Sa¬ranno sempre loro, nel 1863, a dar vita alla «English Football Association». E sarà sempre britannica la prima squadra al mondo. Lo Sheffield Club. Per questo motivo gli inglesi, con un pizzico di presunzione, amano definirsi i «maestri». Gli inven¬tori del gioco del calcio.
Ed è proprio in quegli anni di passione genuina che Willie Henry Foulke inizia a sequestrare le prime pagine dei giornali. Non tanto per le doti tecniche, ma per un fisico tutt'altro che atletico. Foulke è alto 188 centimetri, ma pesa circa 150 chilo¬grammi e passerà alla storia come il portiere più grasso di tutti i tempi. Era nato a Dawley, nello Shropshire, contea dell'In¬ghilterra occidentale, il 12 aprile del 1874, e come tanti ragazzi della sua epoca cominciò ad appassionarsi al cricket. Giocando addirittura quattro partite tra i professionisti del Derbyshire.
Il calcio iniziava a raccogliere proseliti ed estimatori e Foulke rimase a tal punto folgorato da questo nuovo sport che si prati¬cava con i piedi tanto da presentarsi nel 1894 per un provino al¬lo Sheffield United. Sognava di diventare attaccante. Di emulare le gesta di Morton Betts, il centravanti più famoso dell'epoca. Henry calciava di destro con violenza inaudita. Facendo a volte esplodere il pallone. «Ragazzo, sei così grasso che al massimo potresti giocare in porta», sentenziò però l'allenatore John Nicholson dopo averlo visto all'opera. L'esito della selezione fu in ogni modo positivo e Foulke venne chiamato tra i professionisti per sostituire una leggenda come Arthur Wharton. Primo por¬tiere di colore del calcio inglese.
La sfavillante carriera di Foulke però non è stata scandita dalle 291 partite consecutive disputate con la maglia dello Sheffield United e neppure dalla vittoria ottenuta in Coppa d'Inghilterra. Da sempre il massimo encomio per un calciatore britannico. Willie diventò famoso per la capacità di neutralizza¬re i rigori come nessun altro in Inghilterra. Per l'agilità da felino a dispetto dell'ingombrante mole, ma soprattutto per la sua vita spericolata a tavola.
Il 29 marzo del 1897 disputò addirittura una partita nella Nazionale inglese. I maestri si imposero per 4 a O sul Galles e Willie diventò per la stampa dell'epoca «Fatty». Il ciccione. Un pachiderma che però con qualche intervento miracoloso riuscì a mantenere inviolata la porta. A fine gara tentarono di portarlo in trionfo, ma fu un'impresa senza speranza. Meglio una semplice stretta di mano. Come quella ricevuta da Stephen Bloomer, leggendaria mezzala del Derby County e leader della squadra inglese.
Sheffield iniziò a essere una realtà troppo provinciale per Foulke che nel 1906 si trasferì a Londra per giocare nel Chelsea. Con uno stipendio di venti sterline l'anno. Ed è proprio al pe¬riodo londinese che sono legate le sue più celebri mattanze. I primi tempi con la maglia dei blues non furono proprio da incorniciare. «Fatty» veniva canzonato negli spogliatoi dai suoi nuovi compagni di squadra. In un primo tempo lasciò correre, ma un giorno perse la pazienza e si sedette sulla schiena del malcapitato di turno che aveva osato prenderlo in giro. Per poco non lo spedì al Creatore e si alzò solo quando ottenne delle scuse. Poi si rivolse agli altri giocatori mettendoli in guar¬dia: «Questo capita a chi si prende gioco di me chiamandomi ciccione, ma a chi si dimentica di chiamarmi per il pranzo può accadere anche di peggio».
Diinmir UHM j'ura ili Fa Cup l'attaccante del Liverpool ( IcorgL Allcn lo colpì involontariamente al ventre nel tentativo di calciare in porta. Fatty reagì come un animale ferito. Rin¬corse l'avversario per tutto il campo. Lo raggiunse. Lo sollevò in aria con una sola mano. Tutto questo davanti a quindicimila tifosi che non sapevano se preoccuparsi per le sorti di Allen che chiedeva soccorso o ridere di gusto per quanto di comico stava accadendo in campo.
Foulke mangiava senza ritegno. In modo rabbioso. Una volta, in ritiro col Chelsea a Burton, venne convocato dal suo allenatore John Tait Robertson. «Willie, domani giochiamo una partita molto impegnativa. Promettimi che a cena resterai leggero». Fatty fu di parola. Testimoni sostengono che mangiò «soltanto» una decina di bistecche. Poi di notte però, spossato dai morsi della fame, si intrufolò come un ladro nella cucina dell'albergo e divorò letteralmente undici torte! Qualsiasi altra persona al mondo sarebbe come minimo finita in ospedale. Non Willie, il cui stomaco doveva evidentemente essere forgiato nel¬l'acciaio. Il giorno dopo infatti parò due rigori al Burton Albion trascinando la sua squadra alla vittoria. L'attaccante avversario che sbagliò i due penalty si giustificò affermando che Foulke copriva tutto lo specchio della porta. Per la stampa sportiva Willie era «un peso massimo con l'agilità di un galletto». Dopo quella partita i tifosi del Chelsea lo accolsero come un eroe. E ogni volta che entrava in campo dalle tribune si alzava il grido «Willie, who afe ali thè pies?». Chi ha mangiato tutte quelle torte? Ancora ai giorni nostri il canto viene intonato negli stadi inglesi per sbeffeggiare un calciatore un po' sovrappeso.
Foulke continuava a ingrassare. Ma il peso in eccesso non gli negava la soddisfazione di essere considerato uno dei migliori portieri inglesi. Quando si esibiva in qualche uscita volante, per bloccare il pallone sugli sviluppi di un calcio d'angolo, gli avversar! garantivano che era talmente grosso da oscurare il sole in area di rigore. Quando la sua squadra alloggiava in albergo non si concede¬va soltanto qualche generoso spuntino notturno, ma era anche il primo a presentarsi in sala pranzo per il breakfast. In pochi minuti polverizzava avidamente la sua colazione. Poi ingollava senza remore o imbarazzo quella dei suoi compagni.
Nel 1907 lasciò il Chelsea per giocare col Bradford City. Rendendosi protagonista di nuove follie gastronomiche. Trascorsero poche settimane e tornò a occupare le prime pagine dei giornali britannici. Il 6 febbraio di quell'anno il Bradford era impegnato in trasferta sul campo dell'Accrington Stanley. Foulke si presen¬tò sul terreno di gioco con una maglia rossa. Lo stesso colore di quella indossata dai giocatori awersari. L'arbitro gli si avvicinò invitandolo a sostituirla. «Ma io non ne ho un'altra», rispose piccato. Fu un'impresa disperata trovarne una della stessa mi¬sura. Alla fine, per consentire il regolare svolgimento della gara, Foulke si avvolse in un grosso telo bianco da bagno. Il Bradford per la cronaca vinse 1 a O e il pachidermico portiere non ven¬ne quasi mai chiamato in causa. Al fischio finale si avvicinò ai cronisti e ammise candidamente: «Non sono soltanto felice per la vittoria, ma soprattutto perché non ho sporcato questo asciu¬gamano che gentilmente mi è stato prestato dal magazziniere dell'Accrington».
Giocava sempre nel Bradford quando nel tentativo di devia¬re un pallone pericoloso in calcio d'angolo colpì col braccio la traversa della porta. Spezzandola in due. Rimase a terra infortu¬nato. La barella per trasportarlo in infcrmeria non avrebbe mai sostenuto il suo peso. Così furono necessarie sei persone per sollevarlo e accompagnarlo fuori dal campo. Quell'episodio, documentato dai giornali, attirò l'attenzione di Sagar Mitchelì e James Kenyon, gli storici precursori del cinema muto britan¬nico, che lo scritturarono per realizzare un documentario sul gioco del calcio.
La sua ultima esperienza da calciatore fu col Blackpool. Ma era già sul viale del tramonto. Il calcio pionieristico e romantico stava rapidamente passando di moda. I portieri atletici come Sam Hardy dell'Aston Villa e Tim Williamson del Middlesbrough si facevano di gran lunga preferire a «Fatty» Foulke. Il suo periodo d'oro si stava inesorabilmente concludendo. Pesava oltre 160 chili e la proverbiale agilità era ormai un ricordo distante.
Abbandonino al suo ilrslino. Anche da quei compagni di Mu,ulia che un tempo lo ritenevano un eroe, divenne un fenomeno da circo. Negli ultimi tempi guadagnava soldi esibendosi sulla spiaggia di Blackpool. Sfidando i bagnanti ai calci di ri¬gore. Il gesto tecnico che l'aveva reso celebre in tutta l'Inghiluira. Le scommesse vinte preferiva riscuoterle in hamburger piuttosto che in sterline. Durante uno di questi improvvisati show da baraccone, conosciuti in Inghilterra come «beat thè goalie», ma da lui ribattezzati «vinci contro il piccolo Willie», contrasse la polmonite e morì ad appena 42 anni. Solo e dimenticato da tutti.

A distanza di novant'anni dalla sua scomparsa il Chelsea ha deciso di ricordarlo con una statua di cera allestita nel museo dello stadio Stamford Bridge. Ogni giorno centinaia di tifosi dei blues amano farsi ritrarre in foto a fianco dell'effige di questo gigante buono. Icona di un calcio eroico, leggendario. Non ancora espropriato dagli interessi economici.

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